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Jan 30

Written by: Administrator Account
Monday, January 30, 2012  RssIcon

Un’esperienza da raccontare, indimenticabile… un’esperienza da augurare a chiunque almeno una volta nella vita! Non è possibile trovare altre frasi più appropriate per definire ciò che il neonato gruppo dei “Friends of hope” (nome scelto per noi da Sister Agatha) ha vissuto durante le tre settimane trascorse in Kenya.

 

 

Un’esperienza resa possibile soprattutto dalla enorme disponibilità di due persone residenti in questo straordinario paese: Elena Magoni, volontaria espatriata di Amici dei Bambini che ci ha fatto da intermediario, ci ha procurato i contatti e ci ha molto gentilmente ospitato e fatto da guida durante il periodo trascorso a Nairobi, e la già citata Sister Agatha Muthoni delle Suore di San Giuseppe di Machakos, una suora che, per la sua simpatia, il suo carisma e il suo entusiasmo misto a un pizzico di follia, potremmo definire la “versione keniota di Sister Act”; tutte le esperienze vissute dal nostro gruppo durante il soggiorno a Machakos hanno visto la simpatica e amorevole presenza e supervisione di questa “piccola grande sorella.”

Tali esperienze si sono concretizzate in molte e coinvolgenti attività facenti capo alla parrocchia di Mutituni (appartenente alla diocesi di Machakos) presso la quale ci recavamo ogni giorno: progettazione e organizzazione di giochi e altre attività di intrattenimento per i bambini (e non di rado anche per le loro madri) provenienti dai vari villaggi, visite alle famiglie più povere e distribuzione dei viveri, visita all’orfanotrofio di Machakos gestito dalle Suore Preziosine (76 bambini ospitati), affiancamento delle donne nel duro lavoro dei campi e partecipazione alle messe che ogni domenica venivano celebrate nelle varie chiese della parrocchia.
Tuttavia non è nostro interesse fare qui un resoconto dettagliato di tali attività, quanto piuttosto rendere partecipi i lettori delle profonde tracce che l’esperienza vissuta ha lasciato nei nostri cuori.
Le frequenti espressioni che ci siamo sentiti rivolgere dalla gente locale (“karibuni sana”: siete i benvenuti; “habari gani?”: come stai?; “hakuna matata”: nessun problema) nonché le molteplici manifestazioni d’affetto da parte della stessa (canti, balli e una squisita ospitalità), rappresentano un’evidente testimonianza del clima di semplicità, cordialità e fraternità in cui ci siamo ritrovati. Esso affonda le sue radici in una cultura gioiosa di cui il ballo e il canto rappresentano le più alte manifestazioni (non vi diciamo nulla delle celebrazioni religiose: un vero e proprio spettacolo musicale!)
E che dire poi del nostro “secondo battesimo”? La nostra integrazione non poteva essere completa se avessimo mantenuto i nostri nomi italiani! Ecco quindi che Flavia, Stefania, Simone e Pierluigi, durante il loro soggiorno in Kenya, sono stati ribattezzati dalla popolazione locale rispettivamente Mutanu, Mueni, Kioko e Mutùa.
Molti sono i ricordi impressi nelle nostre menti che suscitano gioia e commozione: i volti sorridenti dei bambini che trovavano in ogni piccolo dono ricevuto (un palloncino, un pennarello, un giochino della Kinder…) un motivo per essere felici, la straordinaria vitalità delle donne che, a dispetto della loro difficile situazione (sieropositività e povertà), non mancavano mai di esprimere la loro gioia di vivere tramite il canto e il ballo, le numerose personalità ecclesiastiche che ci hanno fornito il loro aiuto (ricordiamo in modo particolare le Suore di S. Giuseppe di Machakos che ci hanno ospitato, padre Francis per la sua costante presenza e Sua Eccellenza mons. Martin Kivuva Musonde, vescovo di Machakos che ci ha onorati con la sua ospitalità) e molti altri.
Tuttavia, dalla carrellata dei ricordi emergono inevitabilmente anche immagini decisamente più tristi: villaggi costruiti in fango e lamiere privi di qualunque servizio igienico, pozze d’acqua fangosa e malsana da cui la popolazione è costretta ad attingere per bere e per lavarsi, un sistema scolastico che impone ad ogni studente di pagarsi tutto il materiale (perfino il banco!), le bidonvilles che ospitano migliaia di persone ammassate come formiche in spazi molto ristretti e in condizioni disumane e soprattutto, la consapevolezza del destino già segnato di parecchie persone, e in buona parte bambini, che portano nel sangue il terribile virus dell’HIV così diffuso in terra africana!
Sebbene l’arco di tempo trascorso in Kenya sia stato molto limitato, esso si è rivelato sufficiente per una parziale presa di coscienza delle enormi sfide che questo paese è chiamato ad affrontare in ambito politico, economico, sanitario e soprattutto socio-educativo. Ciò ci ha resi consapevoli di quanto le necessità siano grandi e di quanto il nostro contributo sia stato, usando una frase di Madre Teresa, una “semplice goccia nell’oceano”.
Le nostre valigie colme di pastelli, matite, quaderni, palloncini e altro ancora, che sembravano così pesanti, non hanno potuto offrire che un modesto aiuto. Lo stesso vale per il nostro operato che, per quanto fosse bello e innovativo, ha rappresentato solo il primo passo di un lungo cammino che speriamo in futuro di poter portare avanti, ovviamente non da soli.
Da questo nasce il nome del gruppo “friends of hope”: dalla speranza che un piccolo seme gettato nella terra venga adeguatamente curato e, col tempo, diventi un germoglio rigoglioso con forti radici. Quella stessa speranza che caratterizza la forte devozione religiosa della popolazione keniota e che, durante la visita alle povere dei villaggi di Mutituni, vedemmo appesa alla parete spoglia di una umile casa: un foglio recante la scritta “JESUS IS THE ANSWER”.
Col cuore gonfio di gratitudine e, appunto, di speranza, rinnoviamo il nostro ringraziamento a tutti coloro che ci hanno permesso di vivere questa esperienza fantastica: ASANTE SANA.
 

The friends of hope

Tags: News , esperienze
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